Gli animali competono. Le persone si confrontano.

Dopo aver affrontato una questione di assoluta importanza1, vengo a una questione fenomenologica che, sebbene conseguente alla prima, è fondamentale per tutte le sue implicazioni sul piano socio-economico, ergo politico. Ma veramente gli esseri umani, le persone, provengono dagli animali? Per quel che mi riguarda… NO e lo scrivo bello tondo! Anche in questo caso, la dimostrazione avviene con semplici proposizioni logiche2 perché trattasi di un fatto elementare. Procediamo con ordine, analizzando queste quattro proposizioni:

Sul perché le persone non provengono dagli animali

Partiamo dall’inizio: tutta questa storia delle scimmie ha origine dalla teoria di Darwin. Come fece notare il suo collega e semi-collaboratore Wallace, però, la sua teoria non reggeva con gli esseri umani: l’unicità umana era inspiegabile, rispetto a tutte le specie animali. Senza entrare nel merito scientifico, io faccio un ragionamento più semplice: se diamo per vero il darwinismo e quindi, semplificando, che ha vinto la giraffa dal collo più lungo, non si capisce perché le scimmie continuino ad esistere. Se gli esseri umani ne costituiscono l’evoluzione, perché non sono sparite?
E poi, c’è un punto dirimente: le persone sono dotate di CINQUE caratteristiche che le differenziano completamente dal mondo animale e vegetale. Mi riferisco in particolare a:

  • pietà;
  • senso dell’armonia;
  • confronto (non collaborazione, o condivisione, perché anche certe specie animali collaborano, o condividono: formiche, api, lupi, ecc);
  • insaziabilità. Caratteristica di cui si ha un’evidenza schiacciante con i desideri (un animale, o una pianta, una volta sazi stanno in pace. Mentre noi desideriamo al di là del nostro stomaco) e con la violenza (la tortura è una caratteristica che appartiene solo alla nostra specie);
  • capacità di astrazione, da cui derivano il pensiero causale, la creatività (siamo l’unica specie che riesce a creare delle estensioni tecnologiche del proprio corpo) e l’elevazione dai bisogni materiali (prova a chiedere a una scimmia di digiunare!).

Se ti stai chiedendo perché manca il pensiero associativo, è perché esiste anche negli animali (vedi esperimento di Pavlov). Considero il CONFRONTO come la caratteristica centrale e più importante di queste cinque, perché le garantisce tutte. I contrari di queste cinque qualità, sono da considerarsi appartenenti al mondo animale e vegetale. Pertanto l’osservazione ci suggerisce che, dal punto di vista biologico, gli esseri viventi appartengono a regni diversi l’uno dall’altro e l’essere umano è un regno a parte. Poi, ognuno è libero di credere in ciò che vuole: d’altronde, c’è ancora chi crede che il sole sia solo una palla di fuoco3

Il Patto Sociale racchiude in sé le cinque caratteristiche che ci differenziano dagli animali ed esiste, grazie al confronto: la competizione ne è solo una parte

Grazie al confronto, veicolato da un codice linguistico, si crea il grande pilastro che regge l’umanità da sempre: il “patto sociale”. È grazie ad esso che non ci spariamo per strada ogni giorno! Il patto sociale crea lo “sforzo collettivo”: cioè quel fenomeno, per cui un gruppo umano lavora collettivamente per uno scopo qualsiasi. Lo sforzo collettivo possiede tre variabili impazzite: crea linguaggi; è scoordinato (cosa che crea asimmetrie); genera mostri (o di bravura, o di cattiveria). Patto sociale e sforzi collettivi regolano l’umanità da sempre, perché:

Il patto sociale e relativo codice linguistico creano la Religione, lo Stato e la Filosofia

Le religioni e gli stati4 esistono da sempre per contenere l’insaziabile violenza umana, tramite Leggi che orientino le persone. La volontà di rispettare queste leggi, di solito garantita da un gruppo specifico di persone al potere, crea la Giustizia e le Forze armate. Quando questa volontà viene a mancare, accadono le guerre e le rivoluzioni: solitamente, la causa è determinata da giudizi che superano dei pregiudizi5 creando nuove esigenze economiche, da cui conseguono cambiamenti nello stato di diritto. Sono sempre economiche, le motivazioni per cui una mutazione sociale prende forma. Nella gestione del patto sociale e relativo codice linguistico, risiede la politica: il potere si trova nella politica e, solo in parte, nella ricchezza economica. Per interpretare il codice linguistico (che, come il patto sociale, è innato nelle persone e non si sa chi genera chi, o chi è nato prima), l’umanità utilizza da sempre e a qualsiasi latitudine la Filosofia, da cui discendono tutti i linguaggi scientifici e artistici.

I linguaggi dello sforzo collettivo producono le Scienze e le Arti

Le scienze6 e le arti7 (comprese quelle tecniche che, creando prodotti, si trasformano in tecnologia) non sono altro che ulteriori codici per confrontarsi e comunicare tra esseri umani. I codici che stanno dietro i prodotti delle varie scienze e arti, sono più importanti dei prodotti stessi e, in realtà, ciò che noi consideriamo rivoluzioni scientifiche, o tecnologiche, non sono altro che interpretazioni più corrette e aderenti al reale di questi codici, i cui prodotti sono solo conseguenza. Solo un ultimo dettaglio: le scienze, come già chiarito nel post sull’Assoluto (vedi nota 1), essendo fatti e quindi dominate dal principio di determinazione, non sono mai neutrali.

L’asimmetria dello sforzo collettivo crea l’Economia

Economia8 che, come religioni e stati, esiste da sempre perché, da sempre, le persone si scambiano prodotti, o servizi, della propria capacità creativa. Nota bene che, oltre l’economia, esiste da sempre anche la Finanza perché, da sempre, l’umanità ha mediato lo scambio tramite un “valore” (che sia una moneta, una pecora, il sale, o una conchiglia, poco importa): il baratto è un falso mito. L’economia esiste per cercare di gestire, nel modo migliore e più pacifico possibile, le asimmetrie tra i vari gruppi umani organizzati. Le azioni scoordinate tra più gruppi di sforzi collettivi, distorcono la percezione9 dello status quo e relative leggi, modificando perennemente i mercati. Chi sa orientare questa percezione, tramite strategie comunicative, orienta pure i mercati.

Lo sforzo collettivo crea élite e viceversa

I mostri dello sforzo collettivo creano la competizione, perché qualsiasi sforzo collettivo genera “mostri”: parola, con cui intendo persone particolarmente capaci o in positivo, o in negativo, che creano élite. Però succede anche il contrario e cioè che le élite generano sforzi collettivi. Questo meccanismo crea una delle diatribe più stupide, che l’umanità si porta avanti da sempre: la discussione sul primato dello sforzo collettivo, o delle élite. È un falso problema perché, da un’analisi attenta della storia, possiamo ricavare una semplice legge: il rapporto tra élite e sforzo collettivo, è un rapporto di lenta ma costante osmosi inversa. Quando il potere si concentra troppo in uno, dopo poco passa all’altro e viceversa: chi arrivi prima o dopo, è ininfluente per la Storia (mentre è più interessante per l’analisi storica). Pertanto, anche la teoria secondo cui la maturazione delle società in direzione democratica sia determinata dalle soglie di ricchezza (e precisamente dalla formazione della classe media), quindi dalle élite, non ha valore assoluto: come scritto sopra, il potere si trova più nella politica che nell’economia, da cui consegue che la causa della maturazione delle società stia soprattutto nel patto sociale. La competizione è la frizione di questo movimento continuo tra comunità ed élite, ma non ne costituisce parte determinante: infatti, il fulcro di tutto è il patto sociale, grazie a cui esistono tutti e due. Mi spiego ancora meglio: mentre il patto sociale continuerebbe ad esistere anche senza competizione, la competizione non potrebbe esistere senza patto sociale. La competizione è una variabile sociale sopravvalutata10. Ergo, per quel che mi riguarda, in questa diatriba tra comunità ed élite io sto dalla parte di chi crede (a ragione per quanto esposto finora) che le società si siano evolute grazie allo sforzo di tutti: incluso di chi non ha avuto genio, o nessun talento in particolare. Le società si tengono in piedi grazie al patto sociale e il patto sociale si tiene in piedi grazie alle brave persone, con la loro umiltà e la loro fede. Non solo grazie a chi compete, con la sua competenza, o iniziativa, o violenza. È proprio per questo motivo che sostengo, assolutamente, il primato della politica sulla tecnica.

La disuguaglianza economica non è sbagliata: è ingiusta la sua esasperazione

Per quanto sembri controintuitivo, la disuguaglianza economica è la conditio sine qua non del patto sociale. Infatti, il patto sociale esiste innanzitutto perché nessuno di noi è uguale all’altro. A tal proposito, per ragionare in maniera più semplice, ti propongo un test facile-facile: vai in qualsiasi mezzo pubblico, o piazza, o comunque un luogo dove ci sono tante persone. Fermati per cinque minuti ad osservarne i volti: non ne troverai uno uguale all’altro! E ancor di più, se osserverai i dettagli dei corpi! Un esperimento banale, che chiunque può fare e che ribadisce quanto scritto sopra: nessuno di noi è uguale all’altro. Ognuno di noi porta con sé un mistero insondabile11 e non sempre coincide con il proprio lavoro, la propria capacità creativa, o il successo sociale: anzi, spesso il percorso di crescita personale consiste nel riuscire a comunicare il proprio mistero, andando al di là del proprio aspetto fisico, del proprio personaggio, o del proprio mestiere e facendo andare oltre anche chi ci circonda. Ed è proprio per questo motivo che bisogna contenere, il più possibile, la disuguaglianza sociale: perché raramente è meritata, sia in caso di successo che di insuccesso. Oramai sono sempre più numerosi i modelli scientifici12 che evidenziano come, socialmente, viene premiato più l’arrivismo, o l’ereditarietà, nell’ascesa al potere di qualsiasi tipo (altro esempio è la definizione di capitalismo patrimoniale di Piketty). A maggior ragione va combattuta l’esasperazione della disuguaglianza sociale, che possiamo considerare come un dato di fatto acclarato.
Però, ribadisco il fatto che questa proposizione ha una duplice lettura: da una parte si evidenzia come la disuguaglianza economica sia inevitabile; dall’altra come, comunque, sia doveroso combatterla proprio perché non è meritata. È un passaggio, a cui vorrei prestassi molta attenzione.

Il miglior modo per organizzare gruppi complessi di persone è un capitalismo trasparente, con Stato e Mercato in osmosi inversa dinamica e il Terzo Settore a mediare tra i due

Dopo aver stabilito l’assoluta centralità del patto sociale, inquadrandolo nella sua giusta dimensione al confine tra collettività e competizione, tra comunità e singola persona, vediamo qual è la sua applicazione sul piano socio-organizzativo. Va da sé, per quanto scritto finora, che il modello non può essere collocato né esclusivamente nella comunità (comunismo, o socialismo), né esclusivamente nella libera iniziativa personale (liberismo). La logica conseguenza si trova nel capitalismo… lo so, già stai alzando il sopracciglio da espertone ma c’è poco da fare: come per la democrazia, il capitalismo è “il peggiore sistema possibile, se escludiamo tutti gli altri”. A conti fatti, è l’unico sistema dove esiste la possibilità di coniugare la dimensione collettiva con quella personale, cioè lo Stato con il Mercato (come già spiegato in un precedente post, che trovi alla nota 4), allocando alle forze sociali di volta in volta più performanti gli investimenti derivanti dai risparmi. Risparmio e investimento che sono centrali, nello sviluppo socio-economico di qualsivoglia società perché regolano la moneta, il cui ciclo universale è il seguente:

  • domanda-offerta come azioni economiche che creano la moneta;
  • risparmio-investimento come azioni monetarie che creano la redistribuzione del reddito (ricchezza e povertà);
  • Stato che, tramite tasse e investimenti, bilancia i due mondi.

Naturalmente, come tutte le cose umane, il capitalismo è un sistema perfettibile e qui arrivo al punto: penso sia auspicabile, per migliorare l’innata tendenza del potere a socializzare le perdite e privatizzare i profitti, un capitalismo che metta al centro la Trasparenza13. Un auspicio che non è utopistico, ma concretamente possibile: infatti, la trasparenza può essere garantita dal Terzo Settore che già esiste ed è in continuo fermento. Infatti, da soli Stato e Mercato non bastano: potenziando il cosiddetto terzo pilastro14 si otterrebbe una reale mediazione tra i due perché, tra gli svariati benefici (che ti consiglio di approfondire nella nota 14), riuscirebbe ad alleggerire la burocrazia del primo e a controllare gli eccessi del secondo (tra cui, quelli del consumismo). Grazie alla Trasparenza creata da un Terzo settore potenziato, è ragionevole pensare ad un capitalismo in cui Stato e Mercato si muovono in un processo di osmosi inversa dinamica, tramite cui far defluire il potere “dalla soluzione più concentrata alla soluzione meno concentrata”: un equilibrio dinamico tra vantaggi/svantaggi dell’economia pianificata15 da un lato e della libera iniziativa, dall’altro. Per quel che mi riguarda e per il mio grado di coscienza, il migliore dei mondi possibile.


Link utili per Fonti e Dati

  1. https://marianobelmonte.it/2020/05/amore-e-verita/
  2. https://it.wikipedia.org/wiki/Logica_proposizionale
  3. https://www.quantamagazine.org/gamma-ray-data-reveal-surprises-about-the-sun-20190501/
  4. https://marianobelmonte.it/2017/12/stato-feat-mercato/
  5. https://marianobelmonte.it/2020/05/haiku-opinione/
  6. Suddivise in scienze dure (Fisica, Chimica e Biologia), scienze naturali (Astronomia, Medicina, Farmacia, Genetica, Zoologia, Meteorologia, Paleontologia, Geografia, Geofisica, Geologia, Idrologia, Mineralogia, Scienze Ambientali) e scienze socio-umanistiche (Politica, Economia, Giurisprudenza, Archeologia che comprende la Numismatica, Antropologia, Linguistica, Psicologia, Sociologia, Comunicazione, Archivistica, Statistica, Storia)
  7. https://marianobelmonte.it/art-curation/
  8. https://marianobelmonte.it/2019/04/il-bello-delleconomia/
  9. https://marianobelmonte.it/2018/02/sui-complottisti-e-la-gestione-del-dissenso/
  10. https://slate.com/technology/2020/01/darwin-competition-collaboration-evolutionary-biology-climate-change.html
  11. https://marianobelmonte.it/2017/10/sugli-espertoni-e-la-retorica-delleccellenza-competitiva/
  12. https://www.technologyreview.com/2018/03/01/144958/if-youre-so-smart-why-arent-you-rich-turns-out-its-just-chance/
  13. https://marianobelmonte.it/2016/07/limportanza-della-trasparenza/
  14. https://www.lavoce.info/archives/59363/stato-e-mercato-da-soli-non-bastano/
  15. https://it.wikipedia.org/wiki/Economia_pianificata

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Commenti

4 risposte a “Gli animali competono. Le persone si confrontano.”

  1. Avatar M∆B

    Un interessantissi(missi)mo saggio ci racconta della PARECON (‘participatory economics’), come una forma di capitalismo più maturo.

    1. Avatar MB

      Molto vicina alla PARECON, troviamo la Filosofia della Condivisione, di cui alcune considerazioni vanno prese con le pinze.

  2. Avatar M∆B

    Siccome l’espertone che è in te potrebbe obbiettare “eh beh, infatti le persone provengono dagli UFOOOH e non dagli animali!”, ti linko un video che vorrei ti facesse riflettere sulla frase “generato e non creato”…

  3. Avatar M∆B

    Al link, una rilfessione interessante sul ruolo dei servizi pubblici nell’innovazione sociale.

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