Cosa significa essere un Professionista

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Una moda che si sta diffondendo a macchia d’olio, soprattutto da quando il web è diventato di uso comune, è quella di considerarsi un professionista in un settore qualsiasi per il solo fatto di aver fatto qualcosa in quel settore, o di essere un appassionato di quel settore. Pubblico un pdf con il mio romanzo sulle avventure di una cuoca nigeriana in Congo? Sono uno scrittore! Pubblico, su un blog sconosciuto, il mio servizio fotografico sulle rotaie del tram? Sono un fotografo! Pubblico, sempre su un blog sconosciuto, la mia ultima canzone synth-etno-jazz? Sono un musicista! E via discorrendo…

Ora, per carità, nulla di male: capisco che per muoverci nella società sia necessario etichettarci, altrimenti il prossimo non sa come riconoscerci, però bisogna capire che esiste una linea di demarcazione che divide chi è un professionista, dal semplice dilettante/appassionato e purtroppo, in questa fase storica, è una linea incompresa anche da persone che hanno superato i 30 anni e tralascio il fatto che l’incomprensione sia grave anche superati i 20 anni. Qual’è questo limite?Il limite è molto semplice: sei un professionista quando riesci a mantenerti con ciò che fai! Qualunque cosa essa sia. Punto. Capiamoci però: possono esserci anche casi di non-professionisti che fanno cose eccelse, o meno eccelse, ma questo non fa che confermare la mia tesi e cioè che, a meno che tu non abbia un seppur minimo talento (il che significa che hai un seguito che va al di là della tua cerchia di amici, quindi che hai almeno una nicchia di mercato) o addirittura tu eccella (e in questo caso puoi stare sicuro che il mercato riconoscerà il tuo giusto merito), rimane il fatto che sei solo un illustre sconosciuto appassionato di quel settore, perché i soldi per mantenerti non arrivano dalle tue produzioni, ma dalla “borsetta di mammà”. Mantenersi significa che se si rompe la macchina di papino con cui vai a fare “o ‘mericano” in giro, la aggiusti con i tuoi soldi e non li chiedi a papino (senza contare il fatto che, magari, la macchina l’avresti dovuta comprare tu con le tue forze a 35 anni suonati), che l’affitto lo paghi tu, eccetera. Ok? La responsabilità della sussistenza personale è la condizione minima per potersi considerare almeno un “uomo”, o una “donna”. Poi c’è il professionista, dopo il bravo professionista e solo alla fine chi eccelle. Può sembrare impopolare in questo periodo in cui la redistribuzione del reddito è ai minimi storici ed è difficile riuscire anche solo a trovarlo un lavoro, ma non è con le scorciatoie che si arriva. Anzi, queste scorciatoie stanno solo creando un casino semantico, in cui per poter trovare la qualità bisogna scansare una marea di roba che non c’entra nulla (il che la dice lunga anche sui supposti miglioramenti comunicativi della tecnologia dell’informazione, o sui supposti miglioramenti in termini economici della sharing-economy, ma ci vorrebbe un discorso a parte che prima o poi approfondirò).

Concludo, citando un passo dal libro del grande Gurdjieff “Incontri con uomini straordinari” (pag. 40), dedicato soprattutto ai figli di papà che si improvvisano professionisti… e chi vuole capire, capisca:

Perché un uomo sia veramente un uomo alla sua maggiore età, e non un buono a nulla, la sua educazione deve essere rigorosamente fondata sui dieci princìpi seguenti, che bisogna inculcargli sin dalla più tenera età:

1. L’attesa di un castigo per ogni disubbidienza.

2. La speranza di ricevere una ricompensa solo se essa è meritata.

3. L’amore di Dio, ma l’indifferenza verso i santi.

4. I rimorsi di coscienza per i maltrattamenti inflitti agli animali.

5. Il timore di dare dei dispiaceri ai propri genitori ed educatori.

6. L’impassibilità nei riguardi dei diavoli, dei serpenti e dei topi.

7. La gioia di accontentarsi di ciò che si ha.

8. Il dispiacere di esserci alienate le buone disposizioni degli altri verso di noi.

9. La pazienza di sopportare il dolore e la fame.

10. Il desiderio di guadagnarsi da vivere al più presto.

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